Negli ultimi anni in Europa sono stati avviati diversi progetti per sperimentare l’idrogeno “low carbon” nelle raffinerie e negli impianti chimici, con un forte impulso guidato principalmente dalla volontà di contribuire agli obiettivi fissati per l’ambiente ed ai relativi finanziamenti messi a disposizione dalle agenzie di regolazione per progetti pilota nella produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio.
La portata dei progetti in Italia nel settore dei trasporti è ancora insufficiente, frammentata e confinata all’interno degli Enti di Ricerca Istituzionali, penso all’E.N.E.A. della Casaccia che ha ricevuto ingenti fondi, ma che al momento pare sia incapace di dare seguito al trasferimento delle conoscenze all’industria.
La “Ricerca e lo Sviluppo” in Italia fino ad oggi, se confrontati all’ammontare totale della necessità di idrogeno richiesta per alimentare uno stabilimento di media grandezza, appaiono insufficienti.
La concentrazione di raffinerie e impianti chimici in Italia interessa principalmente il centro ed il nord dell’Italia e le isole, con ampie differenze non solo in termini di dimensione degli impianti e di emissioni ma anche di caratteristiche geo – fisiche, come la vicinanza al mare, la disponibilità di luce solare o di vento.
Ad oggi, nella rete di distribuzione in Italia circolano oltre 70 Mld di metri cubi di gas naturale, con emissioni di diossido di carbonio fino a 160 Mln di tonnellate.
Miscelare idrogeno a basse emissioni di carbonio nella rete può rappresentare un metodo efficace per contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione e stimolare il mercato dell’idrogeno mentre si investe nello sviluppo della filiera della produzione, dello stoccaggio e della distribuzione.
Diversi Stati membri dell’Unione Europea stanno procedendo nell’utilizzare l’idrogeno miscelato con il gas nella rete per iniziare la decarbonizzazione del settore, con oltre 10 Stati membri dell’U.E. che hanno già fissato soglie per la miscelazione dell’idrogeno, ma in Italia purtroppo non abbiamo ancora fissato un limite tecnico ufficiale che entro il 2030 potrebbe essere definito al 2% del gas naturale distribuito che potrà essere sostituito con l’idrogeno.
Oltre a contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione e all’ascesa del mercato della produzione di idrogeno con l’ubicazione di siti di produzione per la miscelazione dell’idrogeno può avere un alto e positivo impatto sociale, come nel caso di produzioni in aree dismesse o nei distretti industriali in recessione che di conseguenza potrà stimolare l’economia locale creando nuove occasioni per le imprese ed occupazione per i residenti.
Per lo sviluppo della domanda di idrogeno sarà necessario attuare una serie di azioni da qui al 2030, tra cui la mitigazione dei prezzi delle materie prime che ad oggi appare irrealizzabile in relazione alla scarsa offerta rilevata dopo la crisi pandemica e la successiva guerra in Ucraina che hanno generato il consistente aumento delle stesse e dell’energia prodotta da fonti fossili.
I poc’anzi citati fattori sono elementi indispensabili per tutte le produzioni, in cui rientrano anche le apparecchiature degli impianti per la produzione dell’idrogeno, a cui seguono inevitabili ripercussioni negative che imprimono un forte rallentamento nell’attuazione degli investimenti rispetto alle tecnologie ad alte emissioni di carbonio che ad oggi risultano nettamente più competitive.
Quindi appare evidente rivalutare tutti i processi e le azioni inserite nei piani e nei programmi finanziari incrementando la disponibilità di risorse economiche che devono essere destinate ad incrementare la capacità di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, necessarie a produrre quantità significative di “idrogeno verde”.
A questo si dovrà inevitabilmente affiancare una vigorosa azione finalizzata alla realizzazione di impianti per produzione di energia elettrica da nucleare, alla luce della non costante generazione di energia dalle fonti rinnovabili che da sole non saranno in grado di trainare il mercato dell’idrogeno rivolto allo sviluppo di un ecosistema industriale nazionale indipendente dalle fonti fossili, ad emissioni “zero”.
È altresì di fondamentale importanza creare ed aggiornare i quadri giuridici e legislativi, gli standard tecnici di sicurezza per consentire la produzione, il trasporto e lo stoccaggio di idrogeno per soddisfare i potenziali requisiti della crescente domanda.
È di fondamentale importanza che si concentri tutta l’attenzione nella ricerca e nello sviluppo al fine di implementare e rafforzare le conoscenze tecnologiche sull’idrogeno, innovare le apparecchiature e stimolare la domanda, in conformità alle prime linee guida della Strategia Italiana Ricerca Idrogeno (S.I.R.I.).
Entro il 2050 la domanda di idrogeno nei settori sopra descritti inevitabilmente aumenterà ed è quindi necessario finalizzare ogni sforzo per realizzare l’auspicato ed ambizioso scenario di completa decarbonizzazione attraverso la penetrazione anche in altri settori, legati ai consumi dei cittadini che potranno ricorrere all’applicazione dell’idrogeno, dalla sostituzione progressiva del metano nel riscaldamento residenziale, oggi di primaria importanza visto l’elevato e non più sostenibile costo, allo sviluppo di carburanti sintetici per fornire alternative a zero emissioni di carbonio ai settori dell’aviazione e del marittimo.
Nel settore dei trasporti si può fin da ora prevedere che l’idrogeno, prodotto dalle F.E.R. o dal nucleare, sempre alla luce dell’aumento vertiginoso del costo degli idrocarburi, diventi l’opzione principale per la decarbonizzazione delle autovetture, specialmente per i consumi di flotte aziendali a lunga percorrenza.
L’idrogeno quindi potrà giocare un ruolo di primaria importanza “ambientale, sociale, economico e produttivo” solo se si darà seguito ad una migliore integrazione delle sorgenti energetiche intermittenti come quelle rinnovabili (F.E.R.) con l’energia prodotta dal nucleare.
Appare evidente che occorre creare impianti di produzione e di stoccaggio implementati da reti di distribuzione dell’eccesso di energia prodotta da F.E.R. che potrà essere convertita in idrogeno per essere stoccata ed impiegata successivamente come combustibile o nella generazione elettrica di backup con turbine per usi industriali e civili.
In termini di penetrazione nella domanda energetica finale, l’idrogeno potrà rappresentare fino al 20% entro il 2050, qualora ulteriori opportunità fossero identificate e il costo dell’idrogeno divenisse più competitivo.
Il potenziale dell’idrogeno nell’impegno di decarbonizzazione dell’Italia è in parte soggetto a una serie di fattori che possono condizionare il mercato sul lungo periodo e porre dei seri limiti alla competitività della tecnologia rispetto ad altri vettori.
Innanzitutto, per dare il via a una rapida discesa dei costi di produzione, è fondamentale aumentare la capacità di produzione ed installazione degli elettrolizzatori, così da accrescere la competitività dell’idrogeno rispetto ad altri prodotti a basse emissioni di carbonio.
In tale contesto, la creazione di un potente settore legato alla ricerca ed allo sviluppo di carattere nazionale che lavori in stretta sinergia con l’industria pesante appare di fondamentale importanza al fine di predisporre rapidamente progetti pilota finanziabili attraverso il P.N.R.R. o con altri programmi comunitari e/o nazionali, per dare vita alla sperimentazione di nuove tecnologie che potranno dare il via alla produzione ed alla commercializzazione di impianti, automezzi ed attrezzature che superino le attuali criticità, legate non solo agli aumenti delle materie prime.
Nella Strategia sull’Idrogeno della nostra nazione occorre definire un ampio consenso politico che sostenga e supporti le scelte strategiche energetiche e che definisca una legislazione finalizzata alla promozione attraverso specifici finanziamenti per la realizzazione di progetti innovativi e delle infrastrutture necessarie alla diffusione delle tecnologie.
Queste sono le condizioni imprescindibili su cui basare ogni sforzo per lo sviluppo del mercato dell’idrogeno.
L’infrastruttura con cui oggi si distribuisce il gas su quasi tutto il territorio nazionale rappresenta un’efficiente base per trasportare l’idrogeno, ma non basta.
La Strategia Nazionale deve fare leva all’inizio sull’esistenza di una rete ben strutturata, sviluppata e interconnessa che offra anche opportunità di import e export dell’idrogeno prodotto.
La domanda nella prima fase si deve concentrare nella scelta delle aree per l’istallazione delle “hydrogen valleys”, dove l’offerta e domanda potranno coesistere per poi successivamente essere creati dei modelli di collaborazione a livello locale come già avviato da S.N.A.M..
Nelle aree fortemente industrializzate, superfici già fortemente antropizzate e spesso ambientalmente compromesse, devono essere al più presto realizzate le “hydrogen valleys” in combinazione con l’istallazione di F.E.R. per portare ad aggregare la potenziale domanda delle differenti produzioni insediate che in molti casi sono da reindustrializzare o convertire per far fronte alla più rapida applicazione dell’idrogeno, dando vita una gestione combinata sotto il punto di vista della produzione e dell’utilizzo, così da massimizzare le sinergie e il ritorno degli investimenti legate alle infrastrutture.
Per soddisfare una domanda di idrogeno di circa il 2% entro il 2030, corrispondente a circa 0,7 Mln di tonnellate l’anno, dovranno essere identificate le condizioni più favorevoli ad assicurare la fattibilità della produzione ed un basso costo della materia prima cosa che al momento appare irrealizzabile visto l’elevato costo delle stesse.
In generale, ci sono tre modelli teorici di sviluppo della produzione e del trasporto che possono essere di seguito sintetizzati:
- Produzione e consumo in loco: la generazione di energia elettrica rinnovabile e la capacità di elettrolisi sono situate accanto al punto di consumo per minimizzare i costi di trasporto;
- Produzione in loco con trasporto di energia elettrica e produzione di idrogeno in luoghi diversi: l’energia elettrica rinnovabile viene generata in aree con un’alta disponibilità di risorse naturali (sole, vento, idriche e geotermiche) con cui si produce energia elettrica che viene trasportata attraverso la rete elettrica al punto di consumo dove è poi convertita in idrogeno mediante elettrolisi;
- Produzione centralizzata con trasporto di idrogeno: la generazione di elettricità rinnovabile e la capacità di elettrolisi sono situate in aree con un’alta disponibilità di risorse naturali o di una centrale nucleare per sfruttare “load factors” più elevati, con il successivo trasporto di idrogeno al punto di consumo attraverso una struttura dedicata che potrebbe sfruttare la rete esistente del gas o su camion a celle a combustibile.
Il maggiore vantaggio, può derivare dall’assenza di trasporto sia per l’idrogeno che per l’energia elettrica, ma appare altresì evidente che la produzione di idrogeno sufficiente agli usi dei vari settori già descritti attraverso fonti di energia rinnovabili in loco in molti casi può essere tecnicamente impossibile, a causa di vincoli legati al contesto territoriale e legislativo nazionale e locale, richiedendo quindi, l’implementazione dell’energia elettrica necessaria prodotta dal nucleare civile.
La produzione centralizzata potrebbe quindi permettere economie sugli elettrolizzatori e beneficiare di maggiori “load factors” delle fonti rinnovabili situate in aree soleggiate o ventose come nel Sud dell’Italia.
I modelli sopra descritti di produzione, stoccaggio e distribuzione di idrogeno devono essere studiati ed analizzati attentamente per dare seguito ad interventi mirati alla realizzazione delle “hydrogen valleys” con una visione di lungo periodo e quindi con uno sguardo al rapporto tra costi e benefici, non del singolo progetto, ma del sistema nella sua interezza, sfruttando la concentrazione di produzione e stoccaggio, trasporto e consumo interno ed esterno alle aree industriali in cui sono istallati gli impianti di elettrolisi e stoccaggio dell’idrogeno.
Dall’analisi dei tre modelli teorici definiti dall’ex Ministero dello Sviluppo Economico e delle Attività Produttive lo studio del C.E.S.I. sulla “Strategia Italiana sull’Idrogeno” delinea quattro possibili scenari di implementazione per la produzione, stoccaggio, trasporto e consumo di idrogeno prodotto da fonti rinnovabili (F.E.R.), da cui sono state definite due macro tipologie di sistemi: “non connesse alla rete (off – grid)” e “connesse alla rete (on – grid)”.
Di seguito si sintetizzano le due macro tipologie e gli scenari sottesi.
Il mix di fornitura potrà essere determinato dalle condizioni locali della domanda, dal potenziale di fornitura, e dal livello di flessibilità richiesto.
Appare evidente che alcuni settori industriali, come la chimica e la raffinazione, potrebbero favorire la realizzazione di impianti per la produzione di idrogeno, vista la considerevole quantità di richiesta.
Anche le infrastrutture nodali dei trasporti nazionali e locali, quali porti, aeroporti e stazioni ferroviarie, dovranno in un prossimo futuro essere luoghi di produzione, stoccaggio ed utilizzo attraverso la realizzazione di specifici punti di rifornimento per camion a lungo raggio, treni, cargo e navi ed aeroplani che potranno essere alimentati dall’idrogeno stoccato in serbatoi, trasportato attraverso l’infrastruttura gas o tramite camion alimentati a celle a combustibile.
Le “hydrogen valleys”, dove si produrrà idrogeno, dovranno essere realizzate prevalentemente in aree industriali o presso nodi infrastrutturali dove si prevede la necessità anche di stoccare l’idrogeno per ovviare a potenziali squilibrio tra la domanda e l’offerta.
Per produrre 0,7 Mln di tonnellate di idrogeno verde l’anno, sarà necessario produrre una considerevole quantità di energia elettrica rinnovabile dal solare, dall’eolico e dall’idroelettrico, fonti intermittenti, per gli elettrolizzatori che potenzialmente possono sostenere un carico di lavoro medio equivalente di 7.000 ore all’anno.
Ponendo che l’efficienza media degli elettrolizzatori sia pari a 50 kWh/Kg di idrogeno, per produrre 700.000 tonnellate si stima un consumo pari a 35 TWh che dovranno secondo le Linee Guida dettate dalla Strategia Nazionale sull’Idrogeno essere prodotti da impianti che utilizzano fonti rinnovabili (F.E.R.) da aggiungere alle esistenti.
Per le caratteristiche discontinue intrinseche delle fonti di energia rinnovabile F.E.R. occorre definire strategie di interventi nella produzione e lo stoccaggio di energia e programmare la realizzazione di un sistema nazionale di centrali nucleari di nuova generazione di piccolo o medio taglio (Small Modular Reactors “S.M.R.s”. e microreattori di IVa generazione), più sicure delle vecchie grandi centrali, con costi relativamente bassi e di rapida installazione, da ubicare su tutto il territorio nazionale.
La sfida della “transizione energetica” imprime trasversalmente ed in modo radicale un cambiamento epocale del “modello produttivo, sociale, economico, della mobilità, del governo del territorio e della gestione delle risorse naturali” e riveste una straordinaria opportunità per svincolare l’intera società e le future generazioni dalla dipendenza dalle fonti fossili.
Occorre quindi mettere in atto una serie di misure, che prevedano lo snellimento dei processi di autorizzazione per l’installazione di impianti rinnovabili, ma solo in aree antropizzate desinate all’industria ed alle infrastrutture intermodali (ad esempio depositi, porti e stazioni) o nelle immediate vicinanze alle aree industriali, assicurando al tempo stesso la sinergica attuazione dei programmi in scala nazionale, con la definizione piani e progetti attuativi locali di livello regionale ed interregionale autorizzati, implementati, finanziati, sostenuti, controllati e gestiti direttamente dallo Stato o da consorzi industriali.
Per dare il via allo sviluppo del mercato dell’idrogeno, il governo deve investire massicce somme per l’installazione di circa 5 GW di capacità di elettrolisi entro il 2030 per soddisfare parte della potenziale domanda.
Il raggiungimento dell’indipendenza energetica riferita alla produzione nazionale di idrogeno verde e più in generale di energia elettrica da F.E.R., implementata dal nucleare civile, piccole e medie centrali nucleari di nuova generazione, dovrà essere supportata nel breve periodo dalle importazioni di energia prodotta all’estero, a cui fanno riferimento gli accordi recentemente firmati tra il Governo Italiano ed il Governo Algerino che prevedono, tra i tanti temi ed investimenti previsti dalla aziende pubbliche e private italiani all’estero, l’istallazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia da fonti rinnovabili sul territorio algerino.
La strategia che l’attuale Governo Italiano ha definito, nei rapporti con il continente Africano, attraverso il “Piano Mattei”, vedrà in un prossimo futuro la nostra nazione, vista la posizione geografica assimilabile ad una piattaforma al centro del Mar Mediterraneo, come “hub” al centro del commercio dell’idrogeno e dell’energia tra il nord Africa, detentore delle materie prime e potenziale produttore di massicci quantitativi di energia elettrica da fonti rinnovabili ed il Nord Europa, a cui necessitano importanti quantitativi di energia per le produzioni ad alta, media e bassa esigenza.
Per poter avviare l’economia dell’idrogeno a zero o a bassa emissione di carbonio in Italia e soddisfare il suddetto obiettivo di domanda e di penetrazione dell’idrogeno, saranno necessari importanti investimenti che nei vari piani si prevedono equivalenti a circa 10 Mld di euro di investimenti tra il 2022 ed il 2030 a cui vanno aggiunti gli investimenti per l’incremento delle fonti di energia rinnovabile.
Gli investimenti di cui al precedente capoverso possono essere di seguito sintetizzati in:
- Investimenti necessari alla produzione di idrogeno, tra i 5 ed i 7 Mld di €;
- Investimenti in strutture di distribuzione e consumo dell’idrogeno per la mobilità, treni e camion a idrogeno, stazioni di rifornimento, ecc. tra i 2 ed i 3 Mld di €;
- Investimenti in “Ricerca e Sviluppo” per un importo di circa 1 Mld di €.
Inoltre, si prevedono investimenti sulle infrastrutture di distribuzione dell’idrogeno per l’implementazione e l’ammodernamento delle attuali reti di distribuzione del gas, per integrare correttamente la produzione di idrogeno e l’utilizzo da parte delle utenze finali.
L’impatto ambientale concreto legato al consumo di idrogeno a bassa emissione consentirà una riduzione delle emissioni di CO2 fino a circa 8 Mln di tonnellate entro il 2030, contribuendo a circa il 4% degli obiettivi definiti nel P.N.I.E.C..
Per quanto riguarda l’impatto economico, gli investimenti stimoleranno la crescita delle imprese pertinenti potenziando la loro economia “effetto diretto”, con un impatto positivo anche sulle relative economie inserite nelle catene del valore industriale e per tutto il tessuto produttivo delle imprese medie, piccole e micro, “effetto indiretto”, struttura portante queste ultime dell’economia nazionale a cui non dobbiamo rinunciare.
Il P.I.L. sarà stimolato con un impatto stimato fino a circa 27 Mld di €, che include sia la fase di costruzione che quella operativa dei progetti della durata di oltre venti anni.
Allo stesso modo, ci sarà un impatto concreto sull’occupazione, con la creazione prevista di circa 200.000 posti di lavoro temporanei nei prossimi 10 anni, durante la fase di costruzione ed installazione di elettrolizzatori, delle infrastrutture di stoccaggio e di trasporto, lo sviluppo di veicoli a celle a combustibile, caldaie ad idrogeno e fino a circa 10.000 posti di lavoro fissi sul medio periodo.
I posti di lavoro aggiuntivi andranno a vantaggio sia del mercato diretto che di quello indiretto, oltre a stimolare la crescita di nuove competenze all’interno delle imprese.
Gli attuali elevati costi delle materie prime e della tecnologia dell’elettrolisi non consentono di disporre di idrogeno per la decarbonizzazione nei settori industriali ad alta intensità energetica e dei trasporti a lungo raggio.
Un altro limite da non sottovalutare e da superare rapidamente al fine di poter dare seguito ad un rapido e sempre più massiccio utilizzo dell’idrogeno su base nazionale è l’attuale carenza delle infrastrutture di produzione, stoccaggio e di distribuzione finalizzati al raggiungimento degli obiettivi fissati.
Inoltre, si evidenzia la frammentazione dei finanziamenti di progetti di “Ricerca e di Sviluppo” a cui si aggiunge la carenza di una potente industria nazionale per la realizzazione di impianti di elettrolisi per la produzione di idrogeno e di motori a celle di combustibile da destinare al mercato interno finalizzato alla sostituzione dei veicoli e delle locomotive per dare un rapido seguito agli obiettivi definiti per la transizione ecologica e da destinare al mercato estero.
L’Italia ha riservato, all’interno del P.N.R.R. un ruolo marginale alla realizzazione di una reale infrastruttura per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione dell’idrogeno destinando ogni risorsa economica a progetti sperimentali frammentati e poco concreti.
Indirettamente molti settori individuati dal P.N.R.R. in seno alla Missione 2, ma non solo, potrebbero potenzialmente beneficiare dei progetti pilota destinati all’idrogeno e dei relativi investimenti, ma tutto è subordinato al massiccio impegno che le amministrazioni regionali, lo Stato e gli enti locali devono attuare in forza dello snellimento delle procedure amministrative, dell’emanazione dei decreti attuativi, della realizzazione di specifiche infrastrutture di produzione di energia da fonti rinnovabili.
A conclusione del presente contributo si evidenzia la necessità di individuare, attraverso una specifica analisi dei costi e dei benefici ed un attento studio finalizzato alla pianificazione, alla programmazione, alla realizzazione ed al monitoraggio dello stato di attuazione degli interventi, una o più aree dove installare gli impianti di produzione di idrogeno derivante dalle F.E.R. (fotovoltaico, eolico, idroelettrico e geotermico) implementato all’occorrenza da piccoli e medi reattori nucleari.
Le caratteristiche geomorfologiche ed orografiche del territorio su cui si interverrà devono essere dotate di ampie superfici pianeggianti, già antropizzate, per l’installazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da rinnovabile e di infrastrutture di distribuzione interna alla “hydrogen valleys” e, al fine di garantire la sicurezza delle popolazioni, distanti dai centri abitati.
Si suggerisce di utilizzare a tale fine i territori dichiarate “aree crisi industriali complessa” (A.C.I.C.) (vedi immagine n.° 6) dall’ex Ministero dello Sviluppo Economico oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy in parte dismesse o sottoutilizzate o nei “distretti industriali” definiti dall’I.S.T.A.T. (vedi immagine n.° 7) sulla base delle caratteristiche produttive predominanti di specifici Sistemi Locali del Lavoro (S.L.L.).
La reindustrializzazione attraverso la conversione delle infrastrutture a supporto delle attività produttive delle aree industriali in crisi deve essere la priorità delle azioni e degli investimenti del governo italiano per generare “Comunità Industriali Energetiche Indipendenti” (C.I.En.I.), vedi schema n.° 2.
In Italia purtroppo si evidenzia un notevole ritardo che occorre colmare rapidamente dado seguito agli interventi di carattere infrastrutturale a supporto della produzione dell’idrogeno.