Analisi e studio delle previsioni demografiche 2022 – 2070 elaborate dall’I.S.T.A.T.
Il futuro della popolazione italiana è drammatico: meno residenti, più anziani, più persone sole, famiglie più piccole e senza figli.
Art. 1 della Legge 194 del 22 maggio 1978:
“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita dal suo inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente Legge, non è un mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”.
IL FUTURO DELLA DEMOGRAFICA NAZIONALE
INCONTRO IN SENO ALLE ATTIVITÀ ISTUTZIONALI DELLA FONDAZIONE FARE FUTURO
24 giugno 2024
Articolo pubblicato sulla rivista trimastrale di approfondimento politico, economico e culturale n.° 19 autunno 2022 di Nazione Futura
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Al fine di poter inquadrare al meglio il problema demografico che ha origini dalle deliberate azioni protratte nel tempo di carattere “politico – culturale” che hanno cancellato i valori naturali che risiedono nelle tradizioni e nelle origini cristiane della nostra società, ho voluto aprire le mie considerazioni con l’articolo 1 della Legge 149 del 22 maggio 1978 riguardante le “norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.
La disattesa applicazione del citato articolo è alla base delle deliberate scelte politiche che hanno inciso negativamente l’evoluzione del tessuto sociale e che hanno terminato nel tempo il progressivo smantellamento del ruolo della famiglia, nucleo portante culturale e struttura fondante delle società occidentali.
Tutto ciò ha posto le basi per destabilizzare il ruolo delle donne sempre più costrette ad abbandonare il ruolo naturale che le vede protagoniste in seno alla infrastruttura portante della società italiana e costrette a compiere il degenerato atto dell’aborto, avulso dalla libertà di una reale alternativa che liberi la donna dalle pressioni sociali, oggi non più giustificabili che le costringe a “non essere future mamme”, ma “semplici componenti della società e della produzione”, costrette alla drammatica ed intollerabile scelta di intraprendere l’odiato gesto di togliere la vita.
Un’ulteriore riflessione mi porta a considerare i fattori condizionanti le scelte individuali che sono da ricercarsi nelle condizioni sociali ed economiche in cui da decenni versano la maggior parte dei cittadini italiani e che costringono le giovani coppie a vite surreali in cui entrambe gli individui sono costretti, da retribuzioni misere, a lavorare per poter sopravvivere.
A sostegno delle considerazioni fin qui esposte occorre analizzare con pragmatismo le nuove previsioni sul futuro demografico della nazione elaborate dall’ISTAT che confermano la presenza di un drammatico scenario di decrescita a cui il popolo italiano sta andando inesorabilmente incontro.
La sintesi dei dati di previsione riguardanti la popolazione residente nazionale nel 2022 si attesterà, secondo l’ISTAT, a 58.983.122 abitanti.
Il dato di previsione del 2022 è stato quindi confrontato con la previsione demografica al 2070 che definisce la popolazione residente in Italia a 47.722.294 evidenziando la tragica situazione demografica italiana che destabilizzerà il sistema sociale ed economico della nazione.
Le previsioni mediane di riferimento riguardanti la popolazione nazionale al 2022 ed al 2070 sono state elaborate al fine di determinare la differenza che risulta essere di negativa e pari a – 11.260.828 abitanti con un’incidenza percentuale corrispondente a – 19,09%.
L’analisi e lo studio delle dinamiche demografiche mi ha indotto ad ulteriori considerazioni e ad elaborazioni finalizzate alla “distribuzione territoriale delle previsioni demografiche elaborate dall’ISTAT 2022 -2070” su base regionale, al fine di definire ed evidenziare per gli stessi periodi gli andamenti demografici locali.
Nell’elaborato cartografico di sintesi si evidenziano cali demografici al 2070 devastanti per il Sud Italia con la punta massima pari a – 39,60% in Basilicata con una media per le sei Regioni meridionali (Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) che si attesta al – 34,41%, una decrescita demografica drammatica superiore ad un terzo della popolazione prevista al 2022.
Al quadro apocalittico del meridione si aggiunge il calo medio del Centro e del Nord dell’Italia inferiore sì, ma sempre molto preoccupante.
Tra le Regioni del Centro Italia si stima un calo demografico medio pari al – 20,94 % (Marche, Abruzzo, Lazio, Umbria e Toscana) con il massimo registrato nella Regione Marche pari al – 27,57%.
Nel Nord Italia si evidenziano tre distinti scenari territoriali con il Trentino Alto Adige (provincie autonome di Trento e Bolzano) che si distingue con un dato positivo, l’unico in Italia, pari al + 4,29%.
Nel Nord Est della nazione si registrerà una punta massima del – 14,83% nel Friuli Venezia Giulia ed una media tra le quattro Regioni individuate, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia, pari a – 10,62%, decrescita meno accentuata rispetto al resto delle macro zone definite nel presente testo come Sud, Centro e Nord Ovest.
Per il Nord Ovest invece, composto da tre Regioni, Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta, si registrerà un calo medio pari al – 21,06%, con un massimo registrato del – 23,26% in Valle d’Aosta.
I dati evidenziati sono la sintesi di un più complesso quadro sociale, culturale ed economico eterogeneo della nazione che occorre enucleare per poter definire azioni ed interventi strutturali al fine di invertire il trend demografico negativo di previsione sinteticamente descritto.
La decrescita della popolazione residente in Italia nel prossimo decennio dai 59.200.000 al 1° gennaio 2021 passerà al 57.900.000 nel 2030, con una perdita netta di 1.300.000 di abitanti corrispondente a – 2,20%.
Nel medio termine la diminuzione della popolazione risulterebbe meno impattante, da 57.900.000 a 54.200.000 tra il 2030 e il 2050 con calo dell’incidenza percentuale anch’esso al – 2,20%.
Nel lungo termine le conseguenze della dinamica demografica prevista sulla popolazione totale si fanno più importanti ed evidenziano che tra il 2050 e il 2070 la popolazione diminuirebbe di ulteriori 6.400.000 segnando un significativo crollo.
La popolazione italiana nel 2070 ammonterebbe a 47.722.294, conseguendo una perdita complessiva di 11.260.828 di abitanti residenti rispetto al 2022.
Occorre evidenziare che le previsioni demografiche sono, per costruzione, tanto più incerte quanto più ci si allontana dall’anno base per cui si evince che l’evoluzione della popolazione totale rispecchia tale principio già dopo pochi anni di previsione.
Nel 2050 il suo intervallo di confidenza al 90%, ossia che il suo presunto valore cada tra due estremi con probabilità pari al 90%, oscilla tra 51,1 e 57,5 milioni e nel 2070 si hanno valori compresi tra 41.200.000 ed i 55.100.000.
Quindi, se dal lato più favorevole la popolazione potrebbe subire una perdita di “soli” 4.200.000 tra il 2022 ed il 2070, dall’altro si potrebbe pervenire a un calo di ben 18 milioni, comunque in entrambe i casi si verificherà una certa riduzione della popolazione.
La probabilità che la dinamica demografica possa condurre a un aumento della popolazione nel 2070 è minima, risultando pari all’1,0% rispetto al totale delle simulazioni condotte dall’ISTAT.
Nella dinamica demografica di previsione in Italia si configurano crescenti sbilanciamenti che incidono ed incideranno in modo radicale sull’attuale struttura sociale, culturale ed economica della nazione, delineando scenari futuri catastrofici.
Da circa 15 anni l’Italia sta affrontando un ricambio naturale negativo, i decessi sono di gran lunga maggiori dei nuovi nati, nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l’estero di segno positivo su cui in seguito farò più ampie considerazioni.
Neanche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero proiettato di nascite arriverebbe a compensare quello dei decessi.
Il limite superiore dell’intervallo di confidenza al 90% per le nascite (scenario nel quale il numero medio di figli per donna cresce fino a 1,88 nel 2070) identifica un quantitativo di nati più basso dei decessi previsti lungo il limite di confidenza inferiore.
Nello scenario mediano, dove si evidenzia una crescita della fecondità da 1,25 figli per donna nell’anno base a 1,55 nel 2070, il massimo delle nascite conseguito risulterebbe pari a 424.000 unità nel 2038.
Dopo tale anno, l’ulteriore aumento dei livelli riproduttivi medi non conduce, quindi, a un parallelo aumento dei nati, in quanto le donne in età fertile tenderanno a diminuire nonché a invecchiare in media, riducendo il potenziale riproduttivo della nazione.
Da analoghe perturbazioni di origine strutturale potrà a sua volta dipendere l’evoluzione della mortalità, che proseguirà a esprimere anno dopo anno un numero sostenuto e crescente di decesso, fino a un massimo di 832.000 nel 2058 secondo lo scenario mediano.
Questo pur in un contesto di buone aspettative sull’evoluzione della speranza di vita (86,5 e 89,5 anni quella prevista alla nascita nel 2070, rispettivamente per uomini e donne) e, pertanto, in linea con quello che sarà il livello di invecchiamento della popolazione.
Alla luce dell’analisi delle ipotesi di previsione condotte si può quindi affermare che i flussi migratori non potranno controbilanciare il segno negativo della dinamica naturale legata ai decessi.
Inoltre, si evidenzia che i costanti flussi d’immigrazione verso l’Italia e la contestuale emigrazione di giovani italiani, in cerca di migliori condizioni economiche, si configura una lenta e progressiva sostituzione etnica che vede sempre più la nostra nazione al centro di un ampio cambiamento culturale che depaupera la nostra nazione delle migliori risorse umane formate e culturalmente omogenee sostituite da manodopera a basso costo proveniente da società con tassi culturali e formativi praticamente assenti che si inquadrano in una sempre più frammentazione etnica e quindi disomogeneità culturale ed un drastico cambio dei valori fondanti la nostra collettività.
Nondimeno, essi si mostrano comunque contraddistinti da incertezza profonda, essendo svariati i fattori che possono dare adito a scenari diversificati.
Per restare a quanto avvenuto negli ultimi anni, basti pensare alla drastica riduzione delle migrazioni dettata dalla pandemia nel 2020, alla successiva ripresa economica avviata nel 2021 che ha agito da leva naturale per il richiamo degli immigrati nel Paese, al clima di fiducia generato dalle prospettive sul P.N.R.R. e, infine, alle attuali incertezze dettate dalla crisi bellica e da quella energetica sul piano internazionale.
Lo scenario mediano contempla movimenti migratori netti con l’estero ampiamente positivi, pur con una tendenza lievemente decrescente, da oltre 150.000 unità annue a circa 120.000 tra il 2021 e il 2070.
Nel complesso del periodo preso in considerazione si prefigura l’insediamento a carattere permanente in Italia di 13.200.000 di immigrati mentre ammonterebbe a 6.700.000 l’entità degli emigrati italiani all’estero, giovani formati nelle nostre scuole e detentori di conoscenze e competenze che andranno a produrre ed a pagare le tasse all’estero, una perdita per la nostra nazione non da poco a fronte invece dell’acquisizione di immigrati non formati, senza competenze e di bassa cultura adatti alle dinamiche dello sfruttamento legate alla manodopera a basso costo e non qualificata.
Si evince quindi che i migrati al 2070 secondo gli scenari di previsione saranno circa 1/3 della popolazione italiana che ricordo si dovrebbe attestare a 47.722.294 con un’incidenza percentuale corrispondente al 27,66%.
L’analisi dei risultati a così lungo termine deve però necessariamente accompagnarsi a una grande cautela, al punto che l’intervallo di confidenza al 90% del saldo migratorio netto con l’estero restituisce nel 2070 degli estremi che variano da – 20.000 a + 268.000, rivelando, di fatto, due fotografie distinte che vedono da un lato una nazione attrattiva, ma dall’altro quella una nazione che molto probabilmente potrebbe mutare la sua attuale natura di potenza economica, produttiva e culturale, socialmente coesa, per tornare a essere un luogo da cui emigrare, senza competenze e fortemente frammentata.
Questo processo è già avviato da tempo che ad oggi ha prodotto disgregazione sociale, criminalità e degrado diffuso su tutto il territorio nazionale e che occorre contrastare con determinazione e fermezza reintroducendo quote fisse annue di migrati verso l’Italia.
Ai processi precedentemente descritti si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione che vede sempre più accentuarsi, su base nazionale, la quota degli anziani che accentuano gli squilibri strutturali sociali ed economici della nostra nazione.
La popolazione di 65 anni e più oggi rappresenta il 23,50% del totale, quella fino a 14 anni di età il 12,90%, quella nella fascia tra i 15 ed i 64 anni il 63,60%, mentre l’età media si è avvicinata al traguardo dei 46 anni.
Di fatto, la popolazione dell’Italia è già dentro la fase di invecchiamento accentuato che dalle prospettive future si evince un’amplificazione di tale processo, governato dall’attuale articolazione per età della popolazione e, solo in parte minore, mitigato dai cambiamenti previsti circa l’evoluzione della fecondità e delle dinamiche migratorie.
Entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,90% del totale secondo lo scenario mediano, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un campo di variazione compreso tra il valore minimo del 33% ed il valore massimo che si attesta al 36,70%.
È evidente che l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà molto importante, dovendo fronteggiare i fabbisogni di assistenza e tutela di una quota sempre più crescente di anziani.
I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 solo l’11,70% del totale della popolazione, registrando quindi una lieve flessione.
Sul piano dei rapporti intergenerazionali, tuttavia, si presenterebbe il tema di un rapporto a quel punto squilibrato tra gli ultra sessantacinquenni e le nuove giovani generazioni, in misura di circa tre a uno.
Nel contempo, a contribuire alla crescita assoluta della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom, nati negli anni ’60 e nella prima metà degli anni ‘70, tra le età adulte e senili, con concomitante e repentina riduzione della popolazione in età lavorativa.
Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione tra i 15 ed i 64 anni scenderebbe dal 63,6%, corrispondente a 37.700.000, al 53,4%, pari a 28.900.000, in base allo scenario mediano, con una forchetta potenziale compresa tra il 52,00% e il 54,80%.
Come per la popolazione anziana, quindi, anche qui si prospetta un quadro evolutivo chiaro ed esaustivo, con potenziali effetti sul mercato del lavoro, sulla programmazione economica e sul mantenimento del livello di welfare necessario alla nazione.
Un parziale e graduale riequilibrio nella struttura della popolazione si potrebbe rivelare solo nel lungo termine, via via che le generazioni nate negli anni del baby boom tenderanno a estinguersi rivelando, in base allo scenario mediano, che la popolazione compresa tra i 15 ed i 64 anni potrebbe tornare al 54,30% entro il 2070, mentre gli ultra sessantacinquenni potrebbero tornare al 34,10% solo attraverso l’attuazione di decise e strutturate politiche di forte incentivazione alla natalità.
I dati rivelano inoltre, che la popolazione giovanile resterà stabile ad un livello pari a circa l’11,60% dell’intera popolazione italiana.
Tra le potenziali trasformazioni demografiche va evidenziato il marcato processo di invecchiamento del Mezzogiorno, per quanto tale ripartizione geografica presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, l’età media dei suoi residenti transita da 45 anni nel 2021 a 49,9 anni nel 2040 nello scenario mediano, sopravanzando il Nord che raggiunge un’età media di 49,2 anni, partendo nell’anno base da un livello più alto, ossia 46,4 anni.
Guardando alle prospettive di lungo termine, il Mezzogiorno dovrebbe rallentare, ma non fermerebbe il suo percorso, raggiungendo un’età media della popolazione prossima ai 52 anni. Il Nord vedrà tra il 2050 ed il 2070 un’età media di 49,7 anni ed il Centro un’età media di 51,1 anni che evidenzia l’inizio di percorso inverso che vedrà definirsi una struttura demografica in minima parte ringiovanita.
Nei prossimi 10 anni la nostra nazione andrà incontro ad un calo demografico in un numero sempre crescente di Comuni, che al 2031 corrisponderà all’80% secondo lo scenario mediano, dovuto alla bassa fecondità, che colpisce uniformemente alle fondamenta la struttura per età delle popolazioni che riguarderà anche i livelli migratori per alcune realtà territoriali.
A livello nazionale si valuta che tra il 2021 e il 2031 i Comuni delle zone rurali registreranno una riduzione della popolazione pari al 5,50%, passando da 10.100.000 a 9.500.000 di residenti.
In tali aree i Comuni con un saldo negativo della popolazione saranno con tutta probabilità l’86% del totale.
La questione investe soprattutto i territori del Mezzogiorno, dove i Comuni delle zone rurali con un bilancio negativo sono il 94% del totale e dove si riscontra, secondo le previsioni, una riduzione della popolazione pari all’8,80%.
Per i 1.060 Comuni che ricadono nelle Aree interne, particolari zone del territorio nazionale che si contraddistinguono per la distanza fisica dall’offerta di servizi essenziali, la condizione demografica risulta ancor più sfavorevole.
Nelle aree dell’entroterra la quota dei Comuni con saldo negativo della popolazione nel prossimo decennio salirà al 94%, facendo nel complesso registrare una riduzione della popolazione pari al 9,10 % e del 10,40% considerando il solo Mezzogiorno.
In una situazione relativamente migliore si collocano i Comuni a densità intermedia, piccole città e sobborghi, dove il calo demografico atteso si attesterà all’1,90% con la popolazione che si prevede nel prossimo decennio passi da 28.300.000 a 27.700.000.
In quest’area si prevede che la riduzione sarà minore della quota di Comuni interessati dal calo demografico, il 70% del totale, che tuttavia sale all’84% nel solo Mezzogiorno.
Sebbene ad un livello minore, anche le Città e le zone densamente popolate saranno interessate dallo spopolamento.
La capacità attrattiva delle aree a più forte urbanizzazione farà sì che nel decennio il calo complessivo della popolazione sia solo dell’1,80%, con il 65% dei Comuni destinati a subire un saldo negativo tra i propri residenti.
Nel giro di venti anni si prevede un aumento del numero di famiglie di circa un milione di unità che dalle attuali 25.300.000 si dovrebbe arrivare a 26.300.000 nel 2041 con un’incidenza percentuale positiva del 3,8%.
Si tratta però di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti potrà scendere da 2,3 persone nel 2021 a 2,1 nel 2041.
Anche le famiglie con almeno un nucleo, contraddistinte dalla presenza di almeno una relazione di coppia o di tipo genitore – figlio, varieranno la loro dimensione media da 3,0 a 2,8 componenti.
A incidere sull’aumento del numero complessivo di famiglie sono le famiglie senza nuclei, che con un incremento del 20,50%, dagli attuali 9.000.000 passeranno a circa 11.000.000 nel 2041, costituendo il 41,40% delle famiglie totali.
Al contrario, le famiglie con almeno un nucleo seguirebbero la tendenza opposta, presentando una diminuzione del 5,40% nei prossimi 20 anni.
Tali famiglie, oggi pari a 16.300.000 corrispondente al 64,30% del totale, nel 2041 scenderebbero a 15.400.000, rappresentando così il 58,60%.
Da quanto detto si evince che il calo delle famiglie con nuclei in atto deriva da deliberate scelte politiche da 30 anni e che nel lungo periodo hanno condizionato le dinamiche “sociali e demografiche” che in Italia si sono manifestate attraverso l’invecchiamento della popolazione e con l’aumento della speranza di vita che genereranno un maggior numero di persone sole.
Il prolungato calo della natalità, incrementata da persone senza figli e l’aumento dell’instabilità coniugale, a seguito del maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero sempre crescente di individui e genitori soli.
È quindi evidente che alle persone sole, comunque associate al concetto di famiglia, si deve principalmente la crescita assoluta del numero totale di famiglie.
Gli uomini che vivono soli avranno un incremento del 18,4%, arrivando a superare i 4.000.000 nel 2041, mentre le donne sole sarebbero destinate ad aumentare ancora di più, da 4.900.000 a circa 6.000.000, con una crescita di ben il 22,40 %.
Le famiglie composte da un individuo avranno una ricaduta sociale importante che riguarderà principalmente persone in età avanzate di 65 anni e rappresenta oggi la metà di chi vive da solo, mentre al 2041 dovrebbero raggiungere secondo le stime il 60%.
Quindi le persone sole arriverebbero secondo i dati a 10.200.000 di individui con un incremento del 20%, di cui 6.100.000 avranno 65 anni e più con un’incidenza del 44%.
Nel 2021 si è registrato che tra gli uomini che vivono da soli circa 1/3 ha più di 65 anni (32,30 %), mentre tra le donne il rapporto sale a oltre 3/5 (63,1%).
Negli anni le previsioni mostrano uno scenario in cui l’incidenza di uomini e donne di 65 anni e più nel complesso delle famiglie “mono componente” aumenterà sostanzialmente, per cui gli uomini arriverebbero nel 2041 a costituire il 42,50 % e le donne addirittura il 72,20 %, a causa per queste ultime della maggiore longevità.
L’aumento della sopravvivenza tra gli anziani, molti dei quali soli, potrebbe comportare un futuro aumento dei fabbisogni di assistenza.
Un maggior numero di anziani soli può però generare anche risvolti positivi dettata dalla più lunga sopravvivenza, caratterizzata, si presuppone, anche da una migliore qualità della vita, potrebbe consentire a queste persone di svolgere un ruolo attivo nella società, come già accade oggi, supportando le famiglie dei propri figli nella cura dei nipoti e garantendo loro sostegno economico, partecipando al ciclo economico nella veste di consumatori di servizi assistenziali ma anche in quella di investitori di capitali per le future generazioni.
Sulla base di quanto già detto occorre evidenziare che nello scenario mediano su questo tema, si prevede una chiara diminuzione delle coppie con figli.
Le famiglie con prole, che oggi rappresenta circa un terzo delle famiglie totali corrispondente al 32,5%, nel 2041 potrebbe rappresentarne meno di un quarto con un’incidenza percentuale di 24,1%.
Tra il 2021 e il 2041 la loro consistenza diminuirebbe del 23%, passando da 8.200.000 a 6.300.000, tenendo in considerazione l’età dei figli, la diminuzione più consistente si registrerebbe tra le coppie con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 19 anni (- 26%) registrando una diminuzione da 5.300.000 di famiglie nel 2021 a 3.900.000 nel 2041, con l’incidenza percentuale che scenderà dal 21% al 15% del totale delle famiglie.
Nel contempo le coppie senza figli aumenterebbero da 5.003.000 a 5.657.000, con un incremento del 13%, con una quota sul totale che salirebbe dall’attuale 19,80% al 21,5%. Se tali tendenze dovessero proseguire con la stessa intensità prevista fino al 2041, le coppie senza figli potrebbero numericamente sorpassare quelle con figli già entro il 2045.
L’instabilità coniugale, sempre più diffusa in Italia, contribuirà all’aumento di famiglie composte da un genitore solo, maschio o femmina, con uno o più figli.
Nel 2021 i mono genitori sono in totale 2.700.000, in prevalenza donne per un totale di 2.200.000 e di uomini con 500.000 che rispettivamente rappresentano l’8,7 % e il 2,1 % del totale delle famiglie italiane.
Se in passato, a seguito di uno scioglimento della coppia, i figli (soprattutto se piccoli) venivano generalmente affidati alle madri, dalla promulgazione della legge sull’affido congiunto del 2006 questa prevalenza è andata lentamente a ridursi, determinando una sempre maggiore diffusione di padri in qualità di genitori affidatari nelle sentenze di separazione o divorzio.
Entro il 2041 i padri soli, pur rimanendo in minoranza rispetto alle madri sole, potrebbero risultare pari a circa 800.000 con un’incidenza percentuale pari al 2,9 % del totale delle famiglie.
In tale anno le madri sole registreranno un piccolo incremento a 2.300.000, corrispondente all’8,8% del totale, mentre i mono genitori potrebbero salire a 3.100.000.
Quindi l’aumento dei genitori soli potrebbe passare dal 10,8% all’11,7% rispetto al totale delle famiglie dato che rimane comunque di modesta entità, in quanto contrastato dal continuo calo delle nascite, nonché dalla tendenza a riaggregarsi ad altre famiglie.
La dinamica demografica espressa in passato e quella attesa in prospettiva determina una riduzione delle nuove generazioni, in termini assoluti ed in termini relativi con una struttura per età della popolazione che evidenzia fin da ora un elevato squilibrio a favore delle generazioni più anziane e con le politiche ad oggi adottate non si intravedono fattori che possano far ipotizzare un’inversione di rotta.
Dalle previsioni demografiche appare poco probabile una svolta nel numero delle nascite negli anni a venire, pur a fronte di ipotesi favorevoli nei confronti della propensione media di riproduttività da parte delle coppie, a causa del numero decrescente di donne in età fertile che tende a posticipare la genitorialità.
Inoltre, dal confronto tra la popolazione al 2021 e quella prevista al 2041, distinta per ruoli familiari, evidenziano i cambiamenti demografici e sociali che si prevedono in questi venti anni 2021 – 2041, un aumento dei genitori soli, delle persone sole e delle persone in coppia senza figli.
L’instabilità coniugale, sempre più diffusa in Italia, contribuirà all’aumento di famiglie composte da un genitore solo, maschio o femmina, con uno o più figli.
Nel 2021 i mono genitori sono in totale 2.700.000, in prevalenza donne per un totale di 2.200.000 e di uomini con 500.000 che rispettivamente rappresentano l’8,7 % e il 2,1 % del totale delle famiglie italiane.
Se in passato, a seguito di uno scioglimento della coppia, i figli (soprattutto se piccoli) venivano generalmente affidati alle madri, dalla promulgazione della legge sull’affido congiunto del 2006 questa prevalenza è andata lentamente a ridursi, determinando una sempre maggiore diffusione di padri in qualità di genitori affidatari nelle sentenze di separazione o divorzio.
Entro il 2041 i padri soli, pur rimanendo in minoranza rispetto alle madri sole, potrebbero risultare pari a circa 800.000 con un’incidenza percentuale pari al 2,9 % del totale delle famiglie.
In tale anno le madri sole registreranno un piccolo incremento a 2.300.000, corrispondente all’8,8% del totale, mentre i mono genitori potrebbero salire a 3.100.000.
Quindi l’aumento dei genitori soli potrebbe passare dal 10,8% all’11,7% rispetto al totale delle famiglie dato che rimane comunque di modesta entità, in quanto contrastato dal continuo calo delle nascite, nonché dalla tendenza a riaggregarsi ad altre famiglie.
La dinamica demografica espressa in passato e quella attesa in prospettiva determina una riduzione delle nuove generazioni, in termini assoluti ed in termini relativi con una struttura per età della popolazione che evidenzia fin da ora un elevato squilibrio a favore delle generazioni più anziane e con le politiche ad oggi adottate non si intravedono fattori che possano far ipotizzare un’inversione di rotta.
Dalle previsioni demografiche appare poco probabile una svolta nel numero delle nascite negli anni a venire, pur a fronte di ipotesi favorevoli nei confronti della propensione media di riproduttività da parte delle coppie, a causa del numero decrescente di donne in età fertile che tende a posticipare la genitorialità.
Inoltre, dal confronto tra la popolazione al 2021 e quella prevista al 2041, distinta per ruoli familiari, evidenziano i cambiamenti demografici e sociali che si prevedono in questi venti anni 2021 – 2041, un aumento dei genitori soli, delle persone sole e delle persone in coppia senza figli.
Le tipologie familiari rispondono a dinamiche demografiche e comportamenti sociali ben precisi e specifici delle diverse zone del Paese, con differenze più marcate tra Nord e Mezzogiorno.
Al Nord, nel 2021, la quota di famiglie con almeno un nucleo è più bassa, precisamente il 64% contro il 67% del Mezzogiorno.
Si attende un cambiamento consistente per questo tipo di famiglie, tanto che nel 2041 potrebbero costituire il 58 % delle famiglie totali al Nord e il 61% nel Mezzogiorno, registrando in entrambi i casi una riduzione del 6%.
Nel Centro, le famiglie con nucleo avrebbero una riduzione simile, pari a circa al 5%, arrivando a costituire il 57% delle famiglie totali.
La tipologia familiare “coppia con figli” è quella che si prevede possa subire il cambiamento più evidente nei prossimi vent’anni, con un calo nel Mezzogiorno atteso del 9% (dal 37% nel 2021 al 28% nel 2041), mentre nel Nord (dal 31% al 23%) e nel Centro (dal 30% al 22%) è di circa l’8%, con il Mezzogiorno che manterrebbe una quota più alta di coppie con figli.
La maggior parte della riduzione della tipologia “coppia con figli” riguarda le coppie con almeno un figlio sotto i 20 anni di età, rispetto alle coppie con soli figli di 20 e più anni.
Nel Nord, la prima tipologia scende dal 21 % nel 2021 al 16 % nel 2041 (- 5 punti percentuali rispetto agli otto persi dalle coppie con figli a prescindere dalle età dei figli), nel Centro dal 19% al 13% (- 6 punti persi su otto complessivi).
Nel Mezzogiorno, le previsioni evidenziano una crisi demografica più ampia con le coppie con almeno un figlio sotto i 20 anni di età diminuirebbero di sette punti percentuali sui nove complessivi delle coppie con figli.
Per le coppie con figli giovani si assiste quindi a un processo di convergenza territoriale.
Lo stesso, al contrario, non può dirsi per le coppie con figli “maturi”, dove permane una differenza a favore del Mezzogiorno, in parte dovuta anche al fatto che in questa zona del Paese i tempi di uscita dalla famiglia di origine sono più lunghi.
Le differenze di genere nella sopravvivenza danno luogo annualmente a una crescita nel numero di donne che vivono sole e nel complesso in Italia si prevede che questa tipologia familiare possa costituire circa il 23% delle famiglie totali entro il 2041, da un valore odierno superiore al 19%, generando pertanto una variazione di circa quattro punti percentuali.
Una variazione che, se nel Centro e nel Nord si attesterà dal 20% al 23%, con un incremento di circa il 3%, nel Mezzogiorno si registrerà un incremento di ben 5 punti percentuali che dal 18% passerà al 23%.
Tra gli uomini che vivono soli, al contrario, il processo interesserà solo il Nord nei riguardi del Centro e le ripartizioni dovrebbero presentare nel 2041 una quota di famiglie formata da uomini soli pari al 17%, a fronte di un dato nazionale pari al 16%.
Il Mezzogiorno invece, mantiene la sua specificità territoriale, presentando un’evoluzione comunque in crescita ma più limitata, grazie alla quale la proporzione di uomini soli si attesterebbe sotto il 14% delle famiglie totali entro il 2041.
tali dinamiche si devono principalmente a due fattori, da un lato la presenza di differenze territoriali per quel che riguardano la speranza di vita, mentre dall’altro l’esistenza di una maggiore predisposizione da parte degli uomini, in generale e nella fattispecie nel Mezzogiorno, a entrare in una seconda unione in caso di vedovanza o a seguito dello scioglimento dell’unione precedente.
Le coppie senza figli continueranno a essere più diffuse al Nord, pur conseguendo un incremento contenuto dal 22% ad oltre il 23%.
Un cambiamento più importante è previsto nel Mezzogiorno, dove, a fronte di una situazione iniziale meno diffusa, le coppie senza figli aumenterebbero dal 17% a circa il 20% di tutte le famiglie, raggiungendo i valori del Centro da oltre il 18% a circa il 20%.
Nel Centro risulterà una maggior presenza di genitori soli, che incrementeranno la loro quota dal 12% nel 2021 a circa il 14% nel 2041, mentre al Nord e nel Mezzogiorno i livelli raggiunti nel 2041 risulterebbero pari, rispettivamente, a circa l’11% ed al 12% del totale delle famiglie.
Il combinato disposto delle trasformazioni familiari previste farebbe sì che la dimensione familiare media continui a scendere, non solo sul piano nazionale, da 2,3 a 2,1 componenti, ma anche seguendo le specificità demografiche e sociali del territorio.
Il Nord e il Centro, con valori attuali e traiettorie future assai simili, perverranno a un valore medio di componenti simile e prossimo al dato nazionale.
Il Mezzogiorno, grazie a tassi di fecondità più elevati del recente passato, si è sempre connotato per la presenza di famiglie mediamente più numerose che nel resto del Paese.
Oggi, con i livelli riproduttivi più contenuti anche nel Mezzogiorno, questo primato di 2,5 componenti tende a farsi meno netto, ma nel futuro, per quanto si preveda possa mantenere fino al 2041, le previsioni indicano un’ulteriore diminuzione fino a 2,2 componenti.
Quindi dall’analisi dei numeri derivanti dalle previsioni ISTAT sulla decrescita della popolazione italiana che si collocano in un quadro di progressivo ed inesorabile declino demografico si prevede di una popolazione di 57.900.000 nel 2030 che passerà a 54.200.000 nel 2050 fino a giungere a 47.722.294 nel 2070.
Tutto ciò si ripercuote nel rapporto tra individui in età lavorativa, tra i 15 ed i 64 anni e gli individui in età non lavorativa, tra i 0 ed i 14 anni e dai 65 anni in su che passerà, secondo le stime, da circa tre a due nel 2021 a circa uno ad uno nel 2050.
Su tutto il territorio nazionale inoltre, entro 10 anni in 4 Comuni su 5 è previsto un calo di popolazione che si traduce in 9 su 10 nel caso di Comuni di zone rurali.
Si prevede che le famiglie cresceranno, ma con un numero medio di componenti sempre più basso e meno coppie avranno figli.
Entro il 2041 le stime prevedono che una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli.
Gli attuali flussi migratori verso l’Italia non compenseranno il calo demografico, ma saranno un costo sociale ed economico che genererà discriminazione che si inquadra nella competizione sleale del mondo del lavoro che tende al ribasso del costo del lavoro, disgregazione dell’omogeneità culturale ed etnica, degrado urbano e di ampie zone del territorio nazionale (campi profughi, periferie degradate e non sicure, etc.), manodopera per la criminalità locale.
All’immigrazione clandestina e non regolata si associano inoltre l’aumento dei costi che lo Stato deve affrontare che si configurano nelle azioni necessarie per l’integrazione e nell’aumento dei processi ed alla detenzione in relazione ai piccoli crimini quali lo spaccio, la violenza in generale e sulle donne.
Alla luce delle considerazioni esposte in precedenza derivanti dall’analisi dei molteplici fattori legati alle previsioni elaborate dall’ISTAT sul drastico calo demografico della popolazione italiana appare evidente che le politiche a sostegno delle famiglie definite negli ultimi vent’anni attraverso la prassi, ormai consolidata, dei “bonus”, hanno drammaticamente fallito.
La stratificazione di frammentati provvedimenti ed interventi non hanno sortito effetti positivi, ma hanno prodotto nel tempo consolidate procedure e situazioni di “assistenzialismo di massa”.
Occorre definire un’importante, forte, coraggioso e strutturato provvedimento legislativo di carattere sociale ed economico a tutela ed a sostegno della natalità che ponga al centro la figura delle “donne madri a tempo pieno”, non più intese come servili alla produzione, ma come fulcro indispensabile su cui incardinare politiche di stimolo per incrementare la demografia e che non generino discriminazioni di genere.
A ciò si devono affiancare politiche a sostegno delle future generazioni che puntino alla formazione professionale che constano dell’acquisizione delle oggi indispensabili “competenze” e che mettano nelle condizioni i giovani di guardare al futuro con serenità e sicurezza economica, condizioni fondamentali per garantire la naturale scelta legata alla creazione di una famiglia con prole, oggi purtroppo inibita dalle condizioni imposte dall’instabilità lavorativa e dalla scarsa capacità delle singole retribuzioni di poter far fronte alle inevitabili esigenze della coppia e della auspicata numerosa prole.
Per stimolare la crescita demografica e garantire l’inclusione sociale e la parità di genere per le donne che lavorano a tempo pieno come mamme si dovrà prevedere e predisporre un provvedimento legislativo di carattere un economico a sostegno delle “donne madri a tempo pieno”, che nel contesto famigliare il reddito sia ritenuto insufficiente a garantire una vita dignitosa, definibile in questa sede inferiore a 30.000 € lordi annui.
Il provvedimento sarà atto a garantire una sicura e serena crescita della prole nate in contesto sociale ed economico disagiato fino al compimento della maggiore età.
Al compimento della maggiore età i giovani saranno introdotti in due ben distinti e strutturati percorsi obbligatori di carattere universitario o di carattere formativo professionale.
In questi percorsi lo Stato garantirà ai giovani meritevoli ed in linea con gli obbiettivi ed i parametri definiti da linee guida di carattere ministeriale un sostegno economico atto a liberare le famiglie dal peso dei costi aggiuntivi legati alla formazione delle competenze professionali dei futuri lavoratori o alla formazione universitaria della futura classe dirigenti.
La retribuzione ipotizzata e proposta nel presente testo di analisi delle dinamiche demografiche appare, per una donna che non lavora e per l’intera famiglia ritenuta come detto a basso reddito e quindi incapace di far fronte al mantenimento di una numerosa prole, una valida soluzione per combattere la povertà e per sostituire l’iniquo e fallimentare “reddito di cittadinanza”.
La presente proposta punta a sostenere i consumi delle famiglie a più basso reddito, incrementare la demografia, includere socialmente le donne che scelgono liberamente di essere “madri a tempo pieno”, finalizzando ogni sforzo nel curare direttamente la crescita della propria prole invece di essere costrette a lavorare per compensare le esigue finanze familiari e quindi delegare a terzi la crescita dei propri figli.
Coloro che percepiranno il “sostegno alla maternità” saranno soggette a monitoraggio costante attraverso la dichiarazione dei redditi, da presentare ogni anno, delle spese effettuate a valere sul sostegno economico percepito in qualità di “mamma a tempo pieno” in cui saranno dichiarate le spese sostenute che dovranno essere conformi alle esigenze dei figli e della famiglia come per esempio cibo, bollette, affitto, abbigliamento, sport, beni essenziali e necessari per la casa e per la prole, spese mediche, trasporto pubblico, etc.
L’auspicato provvedimento sarà integrato dal sostegno ai figli maggiorenni.
Ipotizzo due distinti percorsi a cui i giovani saranno, dopo la conclusione del percorso scolastico obbligatorio, saranno chiamati a scegliere: continuare gli studi universitari o intraprendere una carriera lavorativa.
I ragazzi provenienti da situazioni famigliari e sociali non favorevoli, derivanti anche, ma non solo, dal “sostegno alla maternità” saranno tutelati direttamente dallo Stato con attraverso un unico intervento economico il “sostegno al giovane studente” o in alternativa, se il giovane maggiorenne sceglie il percorso lavorativo, il “sostegno al giovane lavoratore”.
Il “sostegno al giovane studente” ed il “sostegno al giovane lavoratore” saranno entrambi svincolati dal reddito familiare e legati indissolubilmente ai risultati universitari conseguiti o alle attività svolte durante la formazione professionale ed al buon comportamento del giovane durante il periodo formativo.
Anche con il “sostegno al giovane studente” o con il “sostegno al giovane lavoratore” i beneficiari saranno obbligati a presentare ogni anno le ricevute delle spese effettuate per il cibo, l’affitto alloggio fuori dal comune di residenza, lo sport, i libri, le tasse universitarie, le spese mediche, il trasporto pubblico, etc.
Con entrambe i provvedimenti i giovani maggiorenni saranno economicamente autonomi dalla famiglia di origine, più responsabili e di conseguenza potranno guardare al futuro con speranza, seguiti, nella condotta civile e nei risultati, con costanza dallo Stato, non più inteso come “padre padrone”, ma bensì come “padre generoso e benevolo” con tutti i suoi figli, soprattutto con i più deboli.
Con l’applicazione del provvedimento legislativo qui presentato saranno soppressi tutti i bonus e di tutti gli assegni percepiti finalizzati a sostenere le famiglie con prole di carattere nazionale e locale e tutte le risorse, fino ad oggi destinate al “reddito di cittadinanza”, corrispondenti a circa 10 miliardi di euro l’anno, saranno dirottate a sostenere la natalità.
Studio, analisi ed alaborazione dei dati dell’annuario sociale ed economico 2023 pubblicati da I.S.T.A.T. in data 20 dicembre 2023